Grease è davvero “sessista e pericoloso”?
“Razzista, sessista e omofobo”: queste le accuse rivolte a Grease dalla comunità di Twitter britannica, lo scorso 26 dicembre. In molti hanno chiesto la cancellazione del film, sollevando un polverone mediatico. La BBC, che stava trasmettendo per l’ennesima volta il popolare musical con John Travolta e Olivia Newton-John, non avrebbe mai immaginato una simile rivolta. La pellicola sarebbe, secondo i più critici, rivolta solo alla comunità bianca, poiché priva di personaggi di colore. Proporrebbe un’immagine sbagliata della donna e inciterebbe addirittura allo stupro. Tranquilli. Se anche voi avete visto Grease una decina di volte e non vi sono mai passate per la testa queste, non c’è da preoccuparsi. Credere che un film dove i protagonisti cantano canzoni sulla brillantina, per lo più del 1978, possa convincere gli spettatori ad odiare le donne e la comunità afroamericana è ingenuo. Pensarlo significa far fede a teorie psicologiche degli anni 30, oggi ampiamente smentite. Coloro che vedono atteggiamenti del genere nel musical, di solito, disprezzano queste discriminazioni. Hanno la cosiddetta “percezione selettiva”. Ci vedono quello che vogliono, insomma. In questo caso, quello che odiano.
Grease non mi è mai sembrato un film pericoloso, anzi. È uno dei pochi musical che riesco a godermi senza che le parti cantate mi causino un prurito incontrollato. E quando ho sentito le prime voci sulla protesta in Gran Bretagna la cosa ha iniziato a sembrare decisamente esagerata. Fortunatamente ascoltando fonti diverse, mi sono reso conto che la notizia non era tanto: “Grease è pericoloso, dovrebbe essere vietato!”, ma piuttosto “Su Twitter c’è chi pensa che Grease sia sessista eccetera…”. Insomma, a suscitare clamore era proprio questo strano odio per la pellicola con John Travolta.
Ma perché alcuni vedono Grease come un film “razzista, sessista e omofobo” e molti invece no? In fin dei conti il film è sempre lo stesso. La risposta sta nel fatto che esponendo persone diverse allo stesso messaggio non si ottengono risultati uguali. E a dircelo non è uno studio all’avanguardia.
Fino agli anni ’30 probabilmente gli studiosi avrebbero dato ancora ragione a chi odia Grease. La cosiddetta “Bullet theory” o “Teoria ipodermica”, sosteneva infatti che una volta che un medium manda un messaggio ad un destinatario, allora questo ne subirà gli effetti passivamente. Già dagli anni ’40 una serie di ricerche americane, tuttavia, ha smentito questo fatto. Paul felix Lazarsfeld, Bernard Reuhen Berelson e Hazel Gaudet (1940) studiarono le elezioni Usa, scoprendo che la propaganda funzionava in modo strano. Chi ascoltava uno spot elettorale non cambiava quasi mai le proprie idee, ma le rafforzava. Solo il 5% degli indecisi era soggetto ad un reale cambiamento di opinione. Gli effetti dei media sarebbero, dunque, limitati. Appunto. Ammettendo che oggi qualcuno possa lasciare che un musical del ’78 come Grease influenzi i propri valori, credo che si tratti di una percentuale abbastanza minima degli spettatori. Forse la critica potrebbe reggere per un film del 2021, decisamente più vicino alla nostra realtà quotidiana. Poi ci torneremo.
Ma effetti limitati a cosa, di preciso? Studi degli anni successivi hanno capito che nel momento in cui viene lanciato un messaggio da un media, i destinatari mettono in atto: esposizione selettiva, percezione selettiva e memorizzazione selettiva. Insomma, scegliamo a che messaggi esporci, come interpretarli e come ricordarli. E il tutto secondo i valori che già possediamo. Ecco perché chi vede omofobia, sessismo e razzismo in un film come Grease, certamente ritiene questi elementi molto rilevanti nella sua quotidianità. E in un certo senso, ha già un’idea ben precisa in merito. Di norma condanna ogni forma di omofobia, sessismo e razzismo. E, certo, nei musical degli anni ’70 i personaggi afroamericani erano meno presenti di oggi. Notarlo, però, è una semplice constatazione di come sia cambiato l’atteggiamento di Hollywood. Non può diventare una campagna di censura (inutile, per di più).
Ma allora i film, le serie tv e la letteratura non hanno alcun effetto su di noi? Certo che ce l’hanno, ma solo quando sono credibili e affidabili per chi ne fruisce. Dal punto di vista sociologico Kurt Lewin (1947) e Robert Merton (1959) hanno descritto la comunicazione dei media come “a due fasi”. Le informazioni, prima di arrivare ad un destinatario, passano da un leader d’opinione, che poi le recapita. Ecco perché la figura dell’influencer o del testimonial oggi sono così centrali: più sono affidabili e più chi ascolta il messaggio sarà disposto a prenderlo in considerazione. Immaginiamo che debba uscire un nuovo film molto realistico e in cui gli spettatori possano immedesimarsi. E immaginiamo anche che i suoi contenuti siano omofobi, misogini e sessisti. Immaginiamo persino che network e influencer lo propongano come un film che esprime valori da seguire (omofobia, misoginia e sessismo). Ecco che FORSE, se lo spettatore ha già sviluppato una visione omofoba, misogina e sessista del mondo, allora forse il suo effetto potrà (forse, ribadisco) essere negativo.
Insomma, definire Grease un film pericoloso e chiederne la cancellazione significa dare un ruolo fin troppo potente ai media. Non invita ad omofobia, misoginia e sessismo più di quanto Dirty Dancing non inviti a lanciarsi in balli sfrenati o Jesus Christ Superstar alla vera fede cristiana. Possiamo dormire sonni tranquilli…