Descolarizzare la società con Ivan Illich
“La scuola non favorisce né l’apprendimento né la giustizia, perché gli educatori insistono a mettere nello stesso calderone l’istruzione e i diplomi”
Ivan Illich
“La scuola è sbagliata”. Se l’unica tesi del saggio Descolarizzare la società (1970) di Ivan Illich fosse questa, probabilmente staremmo parlando del volume più venduto in Italia, per lo meno negli ultimi anni. Il pensatore tedesco, tuttavia, invita i lettori a portare un po’ più in là il proprio giudizio critico sulle istituzioni legate all’istruzione. Non solo, a suo avviso, la scuola è organizzata, gestita e puntualmente “riformata” male, ma è talmente deleteria per la società da dover essere eliminata di sana pianta. Cambiarla, insomma, non basta: occorre sostituirla con altro. Un pensiero a cui, leggendo le prime pagine del saggio, si fatica quasi ad abituarsi, vittime di un certo timore reverenziale. Via via che si prosegue, tuttavia, il senso di questa convinzione si delinea perfettamente: tanto da farci comprendere che la nostra reticenza iniziale non era altro che il frutto di convinzioni che proprio la scuola ci ha inculcato. Una volta chiuso il saggio, si finisce insomma per credere necessaria la rivoluzione auspicata da Illich: non fosse per il fatto che le alternative proposte appaiono come un salto nel vuoto.
Andando con ordine, Illich ritiene che la scuola vada eliminata, per i seguenti due motivi:
Non adempie al proprio scopo. Gli esempi sono innumerevoli all’interno del saggio, ma il messaggio è quasi sempre quello: gran parte di ciò che sappiamo, non l’abbiamo imparato a scuola. E aggiungerei che più importanti sono queste nozioni, e meno è la scuola ad avercele fornite. Questo avviene, come spiega Illich, perché si continua a confondere i concetti di apprendimento e di scolarizzazione. Insomma, la deriva presa dalla scuola, fa sì che il suo scopo non sia far apprendere, ma scolarizzare. Abituare, dunque, i ragazzi a stare in classe, insegnargli – più o meno implicitamente – a vivere e magari avvicinarli a qualche nozione di base, puntualmente approvata da ministeri, programmi, riunioni ecc… Difficilmente, salvo per alcune scuole professionali, si impara il proprio mestiere a scuola. Si apprende altro, e nei ritagli di tempo viene spiegata anche qualche sprazzo di nozione che poi si andrà a spendere nella vita o nel mondo del lavoro. Come scrive lo stesso Iillich:
“Tutti gli istituti di istruzione proclamano che loro scopo è quello di formare i giovani in funzione di qualcosa, in vista del futuro. Ma non li lasciano liberi di dedicarsi a tale compito sinché non abbiano acquisito un alto grado di assuefazione al modo di essere degli anziani: formazione per la vita, anziché nella vita”.
“Trasmette un messaggio: che solo grazie alla scolarizzazione un individuo può prepararsi alla vita. Questo per Illich è il cosiddetto “programma occulto”. La scuola, in pratica, ci insegnerebbe che è più importante imparare cose SUL mondo, piuttosto che DAL mondo. E lo fa tramite una struttura insensata, se si pensa che il suo scopo dovrebbe essere semplicemente quello di insegnare. Frequenza graduata, studenti che studiano “ai piedi degli insegnanti” e principi della società scolarizzata, secondo Illich, hanno conseguenze deleterie sui ragazzi. Ancora una volta l’istituzione butta nel calderone le classi ripartite per età, i diplomi e una disciplina subdola, che poco ha a che fare con l’insegnamento (l’insegnante è l’unico formatore insieme al prete che si permette di giudicare la vita privata dell’alunno). Le conseguenze di questo fatto sono importanti:
-In una società scolarizzata viene meno la fantasia e l’originalità di chi apprende sì, ma secondo una strada tracciata autonomamente e non da un ministero.
-La scuola è la culla della “cultura ufficiale”, secondo cui è più importante avere servizi professionali certificati rispetto alla cura personale (“Invece d’imparare ad assistere la nonna, l’adolescente impara a picchettare l’ospedale che non vuole accoglierla”).
La proposta di Illich
Proprio quest’ultimo esempio è illuminante per capire quale sia la proposta abbozzata da Illich per creare una nuova forma di istruzione. Il suo scopo, infatti, è quello di orientare i percorsi verso l’apprendimento di nozioni specifiche, non tanto a cicli “totalizzati” che accompagnano i ragazzi dai 5 ai 19 anni.
Ecco quindi che chi intende apprendere tutto su, ad esempio, le disequazioni, lo può fare iscrivendosi a servizi di consultazione, dove si possono trovare registrazioni, video-lezioni e libri sull’argomento. Chi ha bisogno di lezioni frontali, ma più ristrette di quelle di oggi, può invece frequentere le “centrali di capacità”, dove gli esperti trasmettono le proprie competenze, senza pretese di superiorità o influenza nella vita del discente (che magari è un adulto come lui. Non si parla tanto di formazione continua?). Chi sta studiando la stessa materia, poi, può iscriversi al fine di confrontarsi con un proprio “eguale” sui progressi fatti. Gli educatori vengono, infine, proposti agli studenti tramite un servizio di consultazione (virtuale ma anche fisico), dove sono recensiti dagli stessi studenti.
Non c’è dubbio che un sistema come questo avrebbe dei risultati importanti, e forme analoghe di insegnamento non mancano nel mondo di oggi:
“Poche abilità meccaniche impiegate nell’industria o nella ricerca sono così impegnative, complesse e pericolose come la guida di un’auto, che la maggioranza della gente impara presto da un suo pari”
L’unico neo di questo modello sembra essere la mancanza della tanto decantata “cultura di base”. In un’istruzione legata ai risultati, in pochi studierebbero i classici o la matematica. O per lo meno in pochi si prenderebbero la briga di studiarli entrambi, se liberi di scegliere come disporre del proprio tempo. Si avrebbe un mondo di specialisti nel proprio campo (o anche in molti campi utili), forse più competenti ma meno acculturati in quei saperi nazionalpopolari che proprio la scuola di oggi ci fornisce. Nessuno farebbe più quei riferimenti ai gironi danteschi o ai personaggi manzoniani di cui il nostro parlato è infarcito. Viceversa ad un medico basterebbero pochi anni di studio, col risultato che ne avremmo molti di più e con grande esperienza già in giovane età. Un empasse irrisolvibile questo: nel paradigma di Iillich non c’è posto per “crediti di base” in alcune materie o per indicazioni statali su cosa o come studiare.
“Non dovrà esserci un rituale obbligatorio per tutti”