Tra anomia e Covid: come la pensavi a marzo 2020?
A quasi due anni dallo scoppio della pandemia, guardandoci indietro quasi tutto ci appare chiaro. Il focolaio di Wuhan, i primi casi in Italia e poi il lockdown, l’arrivo del vaccino e le progressive riaperture. Eppure nel marzo del 2020 la nostra percezione era ben altra: era la confusione a regnare. Proviamo a pensarci. Al tempo, posizioni che oggi riteniamo folli o ingenue (“È solo un’influenza”, “Passerà tutto in poche settimane”, “Non chiuderanno mai tutto”) erano molto diffuse. Col senno di poi, complice la mancanza di informazioni chiare ed esaustive, molti avevano opinioni che oggi quasi tutti giudicano errate. Tuttavia è interessante analizzare quando e come sia avvenuto questo passaggio. Cosa ha portato il senso comune a trasformare delle idee “verosimili” e socialmente accettate in eresie socialmente biasimate?
Un aiuto fondamentale in questa analisi ce lo fornisce, come al solito, la sociologia. In particolare i concetti di devianza e di conformità, di cui ha parlato per primo il grande Emile Durkheim. Quando un’azione sociale viene accettata o viceversa biasimata dalla società? La faccenda è relativa, perché come sosteneva il sociologo francese:
“Non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché urta la coscienza comune”
Dunque non era l’atto stesso di minimizzare l’entità della pandemia ad essere deviante (ecco perché non veniva criticato inizialmente). Piuttosto è l’opinione della società ad essere cambiata rispetto a questa posizione. Una considerazione particolarmente importante, specie se consideriamo il fatto che a marzo 2020 non avevamo epidemie simili su cui basarci per trarre delle conclusioni. Non esistevano nemmeno delle leggi a cui fare riferimento: anche quelle sono arrivate dopo. Ecco il mix perfetto su cui, secondo Durkheim si costruisce la devianza.
Se a questi elementi aggiungiamo anche la confusione e i repentini cambiamenti di prospettive che caratterizzavano l’Italia del marzo 2020, otteniamo quella che il sociologo chiamava anomia, ovvero la mancanza di norme sociali che regolino o limitino i comportamenti individuali.
In questi frangenti, sosteneva Durkheim:
“Non si sa più ciò che è possibile e ciò che non lo è , ciò che è giusto e ciò che non è giusto, quali sono le rivendicazioni e le speranze legittime, quali quelle che vanno oltre la misura […] Così, non contenuti da un’opinione disorientata, gli appetiti non sanno più quali siano i limiti da non superare”.
Rileggendo queste righe ci si accorge, infine, di come questa instabilità abbia continuato a regnare in alcune parti della popolazione. Arrivato il lockdown, i decreti legge e il vaccino, la società in generale (e lo Stato con lei), hanno preso una posizione inequivocabile rispetto al Covid, giudicandolo univocamente un male gravissimo da combattere con ogni mezzo possibile. Tuttavia, complice anche la situazione in divenire, l’altalena dei contagi e le prospettive incerte per il futuro, per molti la situazione di anemia dura ancora oggi. Novax, negazionisti e covid party emersi in questi mesi ne sono un esempio lampante.