Si ma perché il flash mob?
Le misure di distanziamento sociale introdotte in tutta Europa negli ultimi due mesi hanno reso ogni tipo di assembramento impossibile. Ecco perché qualsiasi manifestazione collettiva, nell’ultimo periodo, è diventa doppiamente significativa. Tra le forme di aggregazione più replicate, in periodo di quarantena, abbiamo avuto: i flash mob alle finestre, gli applausi collettivi e le proteste degli ultimi giorni, organizzate per lo più dai commercianti per chiedere una riapertura anticipata. Ad una prima analisi le persone che suonano, cantano e battono le mani sembrano avere come unico scopo quello di esprimere solidarietà. Solidarietà a medici, infermieri e malati, innanzitutto. Come ha fatto notare Gary Younge, sociologo della Manchester University, tuttavia, spesso si tratta di rappresentazioni in cerca di significato.
Il ragionamento di Younge è piuttosto semplice. Ogni martedì sera a Londra si ripete il rituale degli applausi collettivi. Il vicinato - in teoria - esce sui balconi o sulle porte di casa per esprimere vicinanza al mondo della sanità, in prima linea contro il Covid-19. Il rinnovamento del sistema sanitario è stata una tematica centrale delle scorse elezioni. Considerando, però, che come racconta anche un recente sondaggio del Guardian il 57% dei britannici disapprova il modo in cui il governo ha gestito l’emergenza, dietro gli applausi sembra esserci una volontà di protesta. L’unica possibile in tempi di lockdown. Come a dire, insomma, che la sanità andrebbe rafforzata, aumentando il personale e alzando i salari degli eroi in prima linea contro il Covid-19.
Il fatto è che nessuno ha definito ufficialmente questo appuntamento come un momento di protesta, specie tra i partecipanti. Ecco allora che, secondo Younge, gli applausi sarebbero solo il primo passo verso la creazione di un movimento. Anche movimenti come #BlackLivesMatter o #Metoo, a favore della comunità afroamericana e contro la violenza sulle donne, sono nati in circostanze simili a suo avviso, costruendo solo negli anni una vera e propria consapevolezza. Gli applausi sarebbero, dunque, manifestazioni ancora in cerca di un vero significato.
Anche guardando a quello che è accaduto in Italia, la sensazione è che dietro i flashmob ci fosse molto di “non detto”. Un significato ulteriore che in pochi, specie tra chi partecipava, hanno compreso. Il fatto è che, se ci pensiamo un attimo, il momento di massima diffusione di canzoni alla finestra, schitarrate sul balcone e applausi, in Italia, è stato durante le primissime settimane di quarantena. Il weekend della prima settimana di lockdown è stato, con ogni probabilità, quello che ha visto più partecipazioni. Con cosa ha coinciso questa data? Non certo col picco di contagi o con la saturazione completa delle sale rianimazione. Le persone, piuttosto, iniziavano a capire che stava accadendo qualcosa di serio. Magari nessuno nella loro cerchia amicale o parentale aveva contratto il Covid-19, ma il Governo aveva appena chiuso ogni attività: di conseguenza doveva essere qualcosa di serio.
Ecco, allora che iniziamo ad avvicinarci ad una parziale risposta. Quello che è avvenuto in Italia, specie nei primi giorni di lockdown, non è stato una particolare forma protesta. Magari in Gran Bretagna oggi sta avvenendo questo, ma da noi no. Le persone – ai tempi dei flash mob - avevano bisogno di sentirsi unite, di ricaricare in qualche modo le batterie in vista della quarantena. Dopo pochi giorni in casa nessuno era ancora insofferente alla reclusione, ma si iniziava a capire che con le settimane non sarebbe stato affatto facile. Una vera e propria effervescenza collettiva, come la definirebbe Emile Durkheim, uno dei padri della Sociologia. Quel momento in cui una comunità si riunisce – nel caso dei flash nello stesso momento, ma in luoghi diversi – per partecipare alla stessa azione e dare nuovi significati alla propria unione. In questo modo il collante che la tiene unita si rafforza ulteriormente.
Quello che avviene durante la messa, per i religiosi, o durante un concerto, per i fan di una band, in quei giorni avveniva a livello nazionale. L’Italia, in pratica, si stringeva in vista di tempi difficili. E non avendo una liturgia ben precisa e codificata da celebrare, come un rituale religioso, lo faceva trovando nuovi simboli - o totem - condivisi da tutta la comunità. L’inno nazionale, ma anche canzoni nazional-popolari come o Il cielo è sempre più blu. Elementi in cui si ritrova gran parte della popolazione. Una messa civile dove il sacro non era più una divinità, ma piuttosto la società stessa, rappresentata da quelle canzoni.