Quarantena: ribalta o retroscena?
Tra coloro che hanno affrontato con maggiore difficoltà la quarantena, si tende generalmente a fare riferimento a due categorie. Da una parte le persone sole che – una volta bloccate a casa - non hanno potuto confrontarsi e relazionarsi a quattr’occhi con nessuno, fatta eccezione per i colleghi per via telematica ed i negozianti da cui facevano la spesa. Dall’altra si pensa alle famiglie numerose, ma non solo, che talvolta abbinano case dalle dimensioni ridotte e una inevitabile riduzione esponenziale della privacy. Una chiave di lettura per comprendere la loro condizione ce la può dare l’interazionismo simbolico di Goffman. Immaginiamo la vita di chi convive con molti parenti come uno spettacolo teatrale. Una volta iniziata la quarantena, tutti questi “attori” sono rimasti bloccati. Quello che non è chiaro è se il luogo dove si trovano sia la ribalta del palcoscenico o piuttosto il retroscena del dietro le quinte. Proprio questo dubbio mette in costante crisi la loro identità.
Ervin Goffman è stato tra i più influenti pensatori del ‘900, in ambito sociologico ma non solo. La sua maggiore intuizione è stata appunto quella di paragonare la nostra vita quotidiana ad una rappresentazione teatrale. A partire dal suo La vita quotidiana come rappresentazione - del 1959 - ha voluto sottolineare come in ogni singola interazione ciascun individuo reciti una parte. Quella del familiare, dell’amico, del lavoratore e così via. Un approccio molto simile concettualmente a quello delle maschere di Pirandello. Nella vita di ciascuno di noi ci sarebbero, poi, una ribalta – in cui appunto entriamo nel ruolo e allo stesso tempo capiamo quale parte ci convenga interpretare – e un retroscena – dove invece siamo più rilassati, ed elaboriamo le tecniche da mettere in scena in futuro.
La quarantena ha congelato questi meccanismi. Bloccati a casa, non siamo più obbligati ad interpretare molte delle nostre parti. Non siamo più scritturati per la parte degli amici che fanno parte di un gruppo, se non per qualche rara chiamata. Niente più membri di una compagnia di colleghi. Ora, a casa propria si tende ad essere rilassati e spontanei – verrebbe da pensare – e quindi potremmo definirla come un retroscena di Goffman. Se pensiamo, tuttavia, al fatto che anche coi parenti recitiamo la parte dei figli, figlie, fratelli, mogli e mariti, la cosa diventa parecchio più ambigua. Potrebbe essere, infatti, che ci troviamo in pieno palcoscenico: al centro di una o più ribalte. Il fatto di essere costantemente insieme ad altre persone, viceversa, ci proverebbe del relax necessario del retroscena.
La differenza è sottile ma al tempo stesso profonda. Non a caso quando cade il confine tra ribalta e retroscena si apre un vero e proprio mondo. Che dire, ad esempio del film The Truman Show del 1998 con Jim Carrey. Nel momento in cui Truman Burbank scopre che la sua vita non è che un gigantesco reality show, il suo mondo crolla. E questo non solo perché tutto quello che ha vissuto, fin dalla nascita, è pura finzione. Uno dei momenti più toccanti della pellicola, infatti, è quando capisce che il suo migliore amico di sempre – a cui ha confidato tutti i propri segreti – non è altro che un attore. Il fatto di non poter avere un retroscena, dove svestire i panni del Truman che il mondo conosce, lo paralizza.
Altro esempio nel mondo del cinema è il film Perfetti Sconosciuti del 2016. Un gruppo di amici sceglie di far calare ogni tipo di divisione tra ribalta e retroscena durante una cena. I loro smartphone vengono poggiati sul tavolo e ogni chiamata o messaggio che arriva viene condiviso ad alta voce. Neanche a dirlo questa scelta si rivela nefasta, sfasciando matrimoni, famiglie e amicizie.
Una volta chiusa la porta di casa, il fatto di essere esposti a meno stimoli esterni, di non dover più essere tante persone allo stesso tempo, ci ha riportati ad una realtà più semplice e meno contraddittoria. Anziché interpretare decine di ruoli ne abbiamo uno solo: quello dei parenti, o magari uno per ciascun parente con cui conviviamo.
Simmel, nel suo Le Metropoli e la vita dello spirito del 1903 sottolinea come il “tipo metropolitano” – ovvero l’uomo moderno di città - finisca per diventare blasé, ovvero indifferente e scettico di fronte agli stimoli che gli arrivano. In sostanza guarda tutto con distacco, perché se dovesse interessarsi a tutto ciò che la metropoli gli propone impazzirebbe. Viceversa chi vive in piccoli gruppi al di fuori dalla città tenderà ad essere più sentimentale e reattivo. Ogni cosa può turbarlo, senza che rischi di dare di matto. Una condizione piuttosto simile alla nostra di questi giorni.
Ecco che se la quarantena ha ristretto la nostra ribalta teatrale - e con lei il numero di ruoli che interpretiamo – forse quello che attraversiamo è anche un ritorno al sentimentalismo che avevano gli uomini di provincia prima della modernità. Un cambiamento straordinario, che rischia però di risultare doppiamente destabilizzante una volta terminata la quarantena. Riaperto il grande teatro della nostra vita quotidiana potremmo dover imparare di nuovo ad interpretare tutti quei ruoli che ci hanno accompagnati nel corso degli anni.