Quando usciremo? Conseguenze sociali della quarantena

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Quando arriverà il maledetto giorno in cui usciremo tutti di casa? Davvero tutti ce lo siamo chiesti in questi giorni, e continuiamo a farlo con una foga sempre più forte. Quella di chi sa che non è in grado di darsi alcuna risposta, e che ha ancora meno fiducia nel fatto che la riceverà da qualcun altro: almeno nell’immediato. Quel che è certo è che, con ogni probabilità, non avverrà perché il coronavirus sarà sparito dalla circolazione, volatilizzato, tornato a nascondersi in un lampo, così come era sbucato fuori. La scelta politica, seppure supportata dalle motivazioni degli epidemiologi, ci sarà nel momento in cui il rischio di tenere la popolazione segregata in casa sarà diventato maggiore rispetto a quello dei reali contagi.

Una semplice, si fa per dire, analisi costi-benefici. Al centro di queste considerazioni, lo sappiamo, c’è innanzitutto l’economia. Un paese chiuso in casa è un paese che non può produrre, è chiaro. A grim calculus” (un truce calcolo) lo definisce anche il settimanale britannico The Economist. Questo tipo di considerazioni sono le stesse che hanno spinto Boris Johnson e Donald Trump a ritardare il lockdown, cercando disperatamente una via per non affossare l’epidemia. L’immunità di gregge invocata da Johnson, per dirne una, sarebbe stata una bella scappatoia : non fosse altro che negli Usa, per esempio, sarebbe costata circa un milione di morti (secondo L’Economist).

Chi è bloccato in casa in queste settimane, tuttavia, sa perfettamente che i costi che sta sostenendo non sono meramente economici, anzi. In molti sottovalutano le conseguenze psicologiche e sociologiche della quarantena. E non mi stupirebbe se fossero proprio queste, alla fine, a risultare decisive nella decisione di tornare, lentamente e per gradi, ad una pseudo-normalità.
Quali sarebbero, dunque, queste conseguenze da mettere sulla decisiva bilancia costi-benefici, insieme a quelli economici e sanitari?

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La rivista Science si è occupata di questa problematica , sostenendo che “sebbene le conseguenze a breve termine del distanziamento sociale non siano mai state studiate a fondo” potesse essere utile chiedere un parere ad alcuni professionisti del mondo accademico. Le prime conseguenze negative individuate dagli esperti riguarderebbero svariate patologie psico-fisiche. Se prolungato, infatti, l’isolamento aumenterebbe il rischio di contrarre malattie cardiache, depressione e demenza. L’insieme di queste problematiche – stando ad una ricerca della psicologa Julianne Holt-Lunstad – aumenterebbe la percentuale di mortalità del 29%. Chiaramente si tratta di una conseguenza estrema, legata a chi sperimenta probabilmente una completa solitudine. “Chi sapeva di avere qualcuno su cui contare, anche a distanza – fortunatamente, sostiene lo stesso studio – percepiva uno stress molto minore”. Una considerazione che ci porta ad apprezzare decisamente di più i nostri compagni di quarantena.

A livello psicologico – precisa Chris Segrin, uno scienziato comportamentale dell’Università dell’Arizona – ognuno reagisce a modo diverso all’isolamento sociale. Sicuramente, però, chi prima della quarantena affrontava un periodo psicologicamente difficile, potrebbe facilmente incappare in ansia e depressione, con un possibile abuso di sostanza per rendere il tutto più tollerabile. La categoria più a rischio sarebbero – stando ad un report della National Academy od Science - gli anziani, esattamente come per il Covid-19. Per loro potrebbero lentamente indebolirsi udito e capacità relazionali. Una volta usciti si troverebbero molto in difficoltà nel riprendere la propria quotidianità, già piuttosto difficile.

Anche per i più giovani, d’altro canto, non è affatto un momento semplice. Scientific American cita un sondaggio americano sulla solitudine tenutosi lo scorso gennaio. Stando ai risultati, prima della quarantena erano proprio i più giovani (18-22) a sentirsi più soli rispetto a genitori e nonni. Le percentuali di chi pratica attività di gruppo negli Usa, non a caso, è diminuita dal 75% al 57% negli ultimi 10 anni.

Detto ciò, anche le previsioni più nefaste prevedono che al massimo in estate si procederà ad una graduale riapertura. Ecco allora che potremmo tornare a tornare a vedere il mondo e a riabbracciarci. E mentre le città si ripopoleranno, lentamente, noi come ci presenteremo all’appuntamento? Anche in questo caso le ipotesi sono molte. “Le interazioni sociali delgi italiani - spiega Francesco Billari della Bocconi di Milano – tenderanno a somigliare di più a quelle dei paesi del Nord Europa”. In una ricerca del 2008 eravamo la popolazione con il livello di contatti sociali più alto. Continueremo ad abbracciarci, toccarci e stringerci la mano, sicuramente, ma con un po’ più di timore, almeno per i primi tempi. Pratiche come gli esercizi e la palestra “fatta in casa”, tuttavia, potrebbero durare a suo avviso.

Anche il sociologo urbano Agostino Petrillo è ottimista: “questo isolazionismo potrebbe trasformarsi in un desiderio di socialità, una riscoperta dell’alterità come valore e una maggiore consapevolezza del rapporto con gli altri”.