Sopravvivere alla Quarantena. Affidarci alla Sociologia, siamo pazzi?
Coi giorni di quarantena che si susseguono, incasellandosi imperterriti uno dietro l’altro sui nostri calendari, non viene a galla solo il nostro passato, ma anche il futuro. Le domande che quotidianamente ci poniamo, a questo punto, non riguardano unicamente la nostra vita prima, ma ci chiediamo anche quando potremmo tornarci e, con un pizzico di lungimiranza in più, cosa cambierà davvero. Domande per nulla semplici a cui rispondere, specie se non sappiamo a quali strumenti rivolgerci .
Sfogliando l’edizione de La Lettura di domenica scorsa, l’inserto culturale del Corriere della Sera, un articolo ha attratto subito la mia attenzione. Il titolo – con un meraviglioso stile clickbait – recitava La sconfitta della Sociologia. Con sorpresa scopro che a scriverlo è stato proprio un sociologo, Carlo Bordoni.
In questa fase di adattamento, la domanda che si pone non è solo “quando finirà”, ma anche “cosa cambierà nella nostra vita?”. Allora la prima cosa che viene in mente al sociologo è che il suo lavoro è stato inutile. […] Il lavoro del sociologo è basato sull’osservazione dei comportamenti, con l’utilizzo di dati quantitativi e qualitativi, sui quali operare una riflessione e dai quali ricavare tendenza significative. […] Una pratica che funziona solo quando i mutamenti sono lenti e lasciano indizi sui quali investigare, ma inutile se il cambiamento è improvviso
Insomma, la Sociologia – la nostra disciplina di riferimento - sarebbe oggi inutile. Chiaramente una provocazione, ma decisamente interessante. Davvero non possiamo ricavare nulla dai suoi testi più classici e dalle loro categorie? Personalmente credo che abbia gli strumenti per aiutarci anche in questo frangente.
Bordoni fa riferimento a due tematiche, indagate negli anni passati dalla Sociologia: l’individualismo e i social media. Il primo, esasperato prima che fossimo tutti costretti in casa, sembra oggi azzerato. Persone che prima mettevano la loro realizzazione al primo posto, scansandosi dalla società, oggi sono sui balconi a far festa insieme, anche se a distanza. Le stesse, poi, non utilizzano più i social come vetrina narcisistica per mettersi in mostra nella propria cerchia sociale, ma per tenersi in contatto con gli altri. Insomma, una vicinanza umana davvero imprevedibile fino a poche settimane fa.
Detto ciò, la Sociologia può sicuramente osservare e descrivere quello che avviene in questi giorni e trarne delle considerazioni. Che poi non sia in grado di effettuare previsioni è tutt’altro discorso. Ma quali strumenti ci può dare una disciplina sociale basata sulle interazioni in un momento in cui di relazioni ne abbiamo così poche e spesso mediate da smartphone e social? La risposta ce la dà Georg Simmel, uno dei padri della disciplina, nella sua Socievolezza, che lui intende come una convivialità fine a sé stessa, capace di intrattenere e divertire. Dove è finito, dunque, l’individualismo esasperato in cui tutti noi eravamo confinati? A cosa dobbiamo tutta questa socialità riscoperta in quarantena?
Il massimo problema della società giunge a una possibile soluzione nella socievolezza e solo all’interno di essa: quale significato e quale peso spettano all’individuo in quanto tale di fronte e all’interno dell’ambito sociale? Dal momento che la socievolezza nelle sue forme più pure non possiede alcuna finalità materiale, alcun contenuto o risultato che si trovi al di fuori del momento socievole, essa si basa interamente sulle personalità. Nulla oltre il piacere offerto da quel momento.
Insomma, lasciati fuori dalla porta gli interessi materiali, il lavoro e la carriera restiamo solo noi, non il nostro ego. La condizione ideale per la socievolezza. E non a caso la stiamo riscoprendo anche senza saperlo. Ecco, dunque, che ci videochiamiamo in continuazione, facciamo dirette sui social e usciamo addirittura sui balconi per interagire. Se, al contrario, fatichiamo a farlo, possiamo trarre un consiglio dalle parole di Simmel.
Ricchezza e posizione sociale, erudizione e fama, capacità eccezionali e meriti dell’individuo non hanno nessun ruolo nella socievolezza, ma sono tutt’al più una lieve sfumatura. […] Anche quanto vi è di puramente e profondamente personale deve rinunciare ad ogni funzione come elemento della socievolezza. Gli aspetti più personali della vita, del carattere, della tonalità emotiva, del destino non trovano spazio alcuno nella sua cornice.
E infatti nei condomini non si parla del virus, della paura o dei contagi, ma si canta. Non è forse un modo parziale di relazionarsi, o piuttosto irreale, quello che lascia da parte la concretezza del mondo per dedicarsi solo ad un’interazione pura come la socievolezza dei balconi e delle videochiamate. Forse. In effetti anche Simmel sembra pensarla così.
[…] definisco quindi la socievolezza come qualcosa che si supporta alla sua concretezza determinata dal contenuto come l’opera d’arte alla realtà.
Molte interazioni della nostra quarantena, insomma, non sono più vicine alla realtà di quanto non possano esserlo un quadro, un film o l’arte in genere. Ma del resto anche la nostra condizione di quarantena è ugualmente parziale e irreale, rispetto a ciò che c’era prima.
La Sociologia, dunque, è stata sconfitta? Non credo proprio. Le parole di Simmel sono state scritte nel 1911, eppure ci analizzano alla perfezione ancora oggi. Chi può dire se, una volta finito tutto questo, non sarà proprio un classico ad ispirare le analisi sul mondo post-quarantena.