Modaioli: dandy o pecoroni?
Seguire la moda, manifestando un particolare stile – ad esempio nell’abbigliamento - rappresenta un’azione sociale ambigua fin dal principio, anche se non sempre ce ne rendiamo conto. Da una parte ci si uniforma a comportamenti già assunti da altre persone, se ne ricalcano vezzi e scelte apparentemente azzardate. Dall’altra ci si differenzia da tutti coloro che questa tendenza ancora non la seguono, entrando nel gruppo – più o meno ristretto – di chi segue la moda. Insomma, chi crea o segue le utimissime tendenze può considerarsi un trendsetter, come il personaggio di Miranda Priestly ne Il diavolo veste Prada? Può sentirsi un po’ come i dandy del XIX secolo, che facevano sfoggio di un’eleganza singolare per esprimere il proprio individualismo morale? Nel 1919 con La Moda il sociologo Georg Simmel analizzò nel dettaglio questo fenomeno in grande crescita nelle metropoli, anche se in realtà i suoi riferimenti arrivavano addirittura al Medioevo. Le sue impressioni? Imitazione e differenziazione sono due aspetti inscindibili di questo fenomeno.
In primo luogo nella moda c’è, si diceva, l’imitazione. Un aspetto fondamentale in tutte le culture, perché permette di portarle avanti di generazione in generazione. Se le invenzioni e le conquiste del passato sopravvivono, beh lo dobbiamo proprio all’imitazione. Rafforza la nostra appartenenza al gruppo e ci leva un sacco di stress. Insomma, vorremmo tanto dare contenuti individuali ad ogni nostro comportamento – come ad esempio lo stile nell’abbigliamento - ma richiederebbe troppe energie, troppe scelte.
Contemporaneamente chi segue la moda si differenzia, in qualche modo, da chi non la segue. Lo fa, per la verità, solo per una questione di tempi. Simmel ritiene che i cosiddetti modaioli, infatti, siano solo in vantaggio temporale su tutti coloro che non seguono con attenzione le ultime tendenze. Anche Il diavolo veste Prada ce lo conferma , quando Miranda Priestly (Meryl Streep) tira le orecchie alla sua giovane stagista (Anne Hathaway) perché crede che il suo stile non dipenda in qualche modo dall’alta moda, anche se di qualche anno prima.
In realtà tutti, in qualche modo, siamo inevitabilmente condizionati dalla moda. Il punto è che nel momento in cui in tanti iniziano a seguirla, ne arriva una diversa. Proprio qui sta il fascino della moda e del settore fashion in generale, sostiene Simmel.
(La moda) ha il fascino caratteristico di un confine, di un inizio e di una fine contemporanei, il fascino della novità e contemporaneamente quello della caducità. Il suo problema non è essere o non essere, la moda è contemporaneamente essere e non essere, si trova sempre sullo spartiacque fra passato e futuro.
Ecco che il singolo si sente gratificato, quando segue la moda, anche solo per il fatto che non tutti possono seguirla allo stesso tempo. Almeno per un po’, insomma, fa parte di una sorta di elite. Qualcuno aspira ad essere come lui. E chi segue la moda in modo del tutto eccentrico ed estremo? Chi sceglie accessori che nessuno metterebbe, portando al limite le tendenze del momento? Per parlare di loro, Simmel fa una distinzione tra qualità e quantità del fenomeno moda. In senso qualitativo, la moda esalta determinate tendenze fino a renderle desiderabili e seguite da molti. Chi è all’avanguardia e sfoggia trovate apparentemente del tutto individuali, in realtà “precede gli altri, ma sulla loro stessa strada”. Esalta da un punto di vista quantitativo, qualcosa che qualitativamente c’era già. Mettendo, ad esempio, una maglietta strappata, quando gli altri al limite la portavano un po’ scolorita. Chi apparentemente guida il fenomeno moda, in buona sostanza, è guidato invece dalla base di tutti coloro che hanno portato la tendenza a nascere e a diffondersi.
Tutto un gioco di dominio e sottomissione, verrebbe da dire, questa moda. In effetti persino chi sceglie consapevolmente di non seguirla, come il personaggio di Anne Hathaway in Il diavolo veste Prada, entra a far parte della partita, esattamente come chi è maniaco della moda. Anziché giocare con la categoria dell’intensificazione, però, lo fa con quella della negazione. Vestirsi fuori moda, in più, ha solitamente due conseguenze: quella di formare una nuova moda oppure di compensare la paura di vedere la propria individualità scomparire. In altre parole una certa insicurezza.
Per concludere, è difficile dire se anche per coloro che non si adeguano alla moda siano più i momenti di forza o di debolezza personale. Dunque come uscire da questa partita, in cui vincere e mantenere la propria individualità sembra davvero difficile? Per Simmel la soluzione si chiama consapevolezza:
…è preferibile che l’individuo sia così consapevole dell’unicità e dell’indistruttibilità del suo valore, anche quando si verifichi un accordo esteriore, da uniformarsi senza timore alle convenzioni, anche alla moda, divenendo così consapevole della spontaneità della propria obbedienza e di ciò che è al di là di essa.