Se vince Trump è la fine…dei sondaggi!
Ci siamo, è finalmente ora di Election Day in America. Quasi tutti i sondaggi danno il candidato democratico Joe Biden nettamente favorito sul presidente uscente Trump, con media, celebrities e giornali convinti quasi all’unisono di un imminente cambio di inquilino alla Casa Bianca. Tra i pochi sondaggisti a pensarla diversamente c’è Robert Cahaly, capo di Trafalgar Group. A suo dire “Le persone mentono nei sondaggi: nelle interviste danno una risposta diversa per evitare di essere giudicate, ma poi nel segreto dell’urna seguono il loro istinto”. Anche Trump, del resto, da poco peso ai sondaggi, proprio per lo stesso motivo. Incoscienti? Stando alle ricerche del sociologo Renato Mannheimer, esperto di previsioni elettorali, potrebbero avere ragione. Nel 2016, come se non bastasse, Robert Cahaly fu tra i pochi a pronosticare la vittoria di Trump su Hillary Clinton.
Facendo una media rapida delle principali previsioni elettorali negli Usa, il risultato sembra scontato: Biden sarà il nuovo presidente. Il suo vantaggio è, praticamente per tutti, di 7-8 punti. In un’interessante intervista pubblicata in Italia dall’Agi, il sondaggista Robert Cahaly si è detto convinto, esattamente come nel 2016, che a spuntarla sarà invece Donald Trump. Due le motivazioni portate a favore di questa sua ipotesi:
1-“Le persone al telefono non diranno mai a una persona sconosciuta per chi voteranno, specie se temono che questa informazione finisca su un sito web o Facebook”
2-Una serie troppo lunga di domande è controproducente. “Chi risponderà a 45 domande un martedì sera? Le persone che seguono la politica lo faranno, le altre no”.
Due pensieri da non sottovalutare. In sostanza è molto difficile che un intervistato riveli le proprie reali intenzioni di voto, in questo caso Trump, specie se ad uno sconosciuto. E ci aggiungerei: specie ad uno sconosciuto che è convinto che tutto il paese stia per votare Biden.
Il sociologo Renato Mannheimer ha spiegato perfettamente questo fenomeno in La stima della scelta di voto nei sondaggi politici: problemi metodologici:
“Si direbbe che le previsioni elettorali seguono le aspettative degli osservatori, piuttosto che il comportamento degli elettori. Ma non è così: è possibile invece che il fenomeno dipenda in una certa misura dalle differenze tra rispondenti e non rispondenti”.
Dunque la differenza tra sondaggi e voto reale non sta solo in chi risponde “dichiarando il falso”, ma anche – e soprattutto – in chi si rifiuta di rispondere.
“Coloro che non rispondono, proprio per il fatto di non dichiarare la propria scelta di voto, sono diversi dal resto degli intervistati […]. Sono di gran lunga meno interessati e meno partecipi alla politica”.
Persone poco interessate e poco attive a livello politico: esattamente l’elettorato, individuato nelle aree rurali, che ha permesso Donald Trump di spuntarla nel 2016.
Tutti gli Usa, però, continuano a sottovalutare Trump in questa tornata elettorale e il New York Times è tra questi. In un articolo del 1 novembre, Maggie Haberman mette alla berlina l’atteggiamento del tycoon: “Per Trump i sondaggi che contano indicano la vittoria, gli altri sono dei fake”. L’unica fonte repubblicana citata come affidabile nell’articolo è Robert Blizzard. A suo avviso le stime di ottobre, che parlano di un Trump con il 45% dei consensi, possono essere sbagliate al massimo di due punti rispetto alla realtà. Insomma, non potrebbe andare oltre il 47% anche nel migliore dei casi. Eppure, confrontando - come nella foto in alto - i sondaggi del 2016 e quelli del 2020, la somiglianza resta impressionante. E chi può dire se a parità di errore nei sondaggi…