Don’t look up, vedersi allo specchio fa morire (dal ridere)

Tra le pellicole più interessanti uscite nelle ultime settimane, “Don’t look up” di Adam McKay colpisce in diversi modi chi lo vede. E la sua forza sta proprio nell’avere più piani di lettura. Una stratificazione che va dal comico – si ride per tutto il film – alla riflessione sociale, legata a temi ambientali e tendenze social. Specialmente negli Usa, i critici lo accusano di essere un film autoindulgente, perché condanna i populisti (tanto nei palazzi quanto nelle strade) e assolve lo spettatore medio. A ben guardare, però, “Don’t look up” non risparmia nessuno: basta poco per riconoscerci le proprie nevrosi, tanto più quelle emerse dopo due anni di emergenza.


Fiducia nelle istituzioni? Addio!

Il primo bersaglio della pellicola, forse il più immediato, sono le istituzioni. Come sa perfettamente chi ha visto il film, dal momento in cui la giovane astronoma Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) e il professor Randall Mindy (Leonardo Di Caprio) scoprono che un’enorme cometa è diretta verso la terra, nulla va come dovrebbe. Quando lo riferiscono alla direttrice della Nasa, un’ex anestesista, questa minimizza l’evento. Il presidente, incastrato tra le elezioni e uno scandalo sessuale, prende tempo.

Dr. Randall Mindy (Leonardo DiCaprio): Abbiamo scoperto un'enorme cometa!
Presidentessa Janie Orlean (Meryl Streep): Oh, buon per voi!
Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence): Punta dritta verso la Terra!
Dr. Clayton 'Teddy' Oglethorpe (Rob Morgan): È quella che noi chiamiamo "killer di pianeti".
Presidentessa Janie Orlean: Al momento io dico di attendere e accertarsi.

E qui i riferimenti all’ex presidente Donald Trump si sprecano: dal qualunquismo nei discorsi da “presunto uomo comune” fino al cappellino con visiera indossato nei comizi elettorali. Solo quando l’allarme diventa evidente a tutti, allora la politica si muove (male). Un passaggio che fa pensare – in termini ambientali - alla costante negazione degli obiettivi climatici fissati dall’Onu per il 2030 da parte di molti stati; per non parlare del primo ministro inglese Boris Johnson, che all’alba dell’emergenza Covid dichiarava con orgoglio: “Business as usual”.  Lo stesso prof. Mindy, in un intervento televisivo al limite dell’esaurimento nervoso, sintetizza perfettamente questa dinamica:

“Sentite, anch’io come tutti voi spero in dio che il presidente sappia quello che fa, spero che si prenda cura di tutti noi. Però la verità è che io credo che tutta questa amministrazione sia completamente fuori di testa, cazzo!”.

Un’affermazione, questa, che racchiude in sé tutti i dubbi sui limiti della democrazia rappresentativa emersi negli ultimi anni. Come ha sottolineato lo scrittore Raffaele Alberto Ventura nel suo ultimo saggio “Radical Choc. Ascesa e caduta dei competenti” (2020), riferendosi allo stato e all’élite governativa:

“L’immensa macchina che abbiamo costruito serve solo in parte a limitare l’incertezza nel mondo; una parte considerevole delle risorse che spendiamo per farla funzionare serve soprattutto a darci l’illusione che siamo in grado di tenere sotto controllo questa incertezza”.

Un concetto ancora più reale se, come in “Dont’t look up” a governare sono dei totali incompetenti. La domanda ora è: quando arriveremo al punto di rottura, proprio come fa Di Caprio, che sbrocca nel talk show mattutino di punta?

 

Quando i media preferiscono non guardare

Incassato il più totale disinteresse da parte della politica, gli astronomi scelgono di rivolgersi ai media per diffondere la notizia della cometa in arrivo. Anche qui le cose non migliorano. La redazione del “New York Herald” inizialmente gli dà corda. Resisi conto che la notizia non genera traffico sui social, però, anche i giornalisti mollano la presa, schiavi dei trend del momento. In tv le cose non vanno per nulla meglio. Il gossip resta il principale focus nei talk show più amato, così come sui social network.

Così, per farsi sentire, il prof. Mindy è costretto a uscire dalle proprie competenze, fino a diventare un volto noto e rassicurante del piccolo schermo. “Ho l’impressione che questo non sia il mio lavoro” dice con tono profetico, poco prima di realizzare la prima intervista. E qui è inevitabile un pensiero ai tanti virologi che con la pandemia sono diventati le vere e proprie star della tv (con esiti discutibili).  Informare, in altre parole, non basta più. Affinché passi, il messaggio deve essere brillante e intrattenere: ma è davvero questo “il suo lavoro”?




Il popolo allo specchio

Vedere la reazione della gente comune rispetto alla tragica notizia dell’arrivo della cometa, per chi guarda “Don’t look up”, è esilarante. Il pubblico non sa più a chi credere, disorientato tra un presidente che minimizza, trend social demenziali e i pochi esperti che si sforzano di lanciare l’allarme. Nascono così orde di negazionisti della cometa (anche qui ogni riferimento a Covid e ambientalismo è puramente casuale), capitanati proprio dal presidente: quelli del movimento “Dont’t look up” appunto.

Come suggerito da alcuni critici cinematografici, tuttavia, ridere di questi atteggiamenti e ritenersi superiori rischia di essere limitante. Più o meno consciamente, infatti, il film cita quasi alla lettera il fenomeno mediatico dell’esposizione selettiva. Secondo questa tendenza, individuata dallo psicologo sociale Dorwin Cartwright, ognuno si espone a prodotti mediatici (trasmissioni, pagine social ecc…) con cui è tendenzialmente d’accordo. Fruendo di questi contenuti, inoltre, finisce solo per rafforzare le convinzioni che già possiede. Non a caso, proprio durante un suo sfogo televisivo il prof. Mindy afferma:

“Sono sicuro che molte persone la fuori, nemmeno ascolteranno quello che ho detto a causa dell’ideologia politica in cui credono…”

Ecco perché limitarsi a vedere in “Don’t look up” una semplice satira di negazionismo e complottismo in salsa americana (alla “QAnon” per intenderci) risulta una lettura parziale. C’è molto di più: compresi anche molti dei nostri atteggiamenti. Ci sono le stories social che banalizzano la tragedia (chi non ne ha mai condivisa una sul covid negli ultimi due anni?). Ci sono i meme sull’astronomo sexy, definito A.I.L.F. (astronomer i’d like to fuck), c’è la star del pop mondiale che su Instagram dichiara (sbuffando): “Ragazzi, questa cometa mi sta seriamente stressando”. Persino quando, alla fine del film, viene organizzato un concertone in stile “Live Aid” per sensibilizzare l’opinione pubblica, il tutto risulta una pagliacciata.

Insomma, non c’è niente di male se  - come scrive David Ehrlich di “IndieWire” è un film che

“si sforza di far ridere e che al contempo prova a sostenere che non c’è niente da ridere”.

Sempre che questa ironia si trasformi anche in autoironia.